Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Bhopal 20 anni dopo (3 Dicembre 2004) - 1

Poco dopo la mezzanotte del 3 dicembre 1984, dalla fabbrica Union Carbide di Bhopal, 27 tonnellate di isocianato di metile (MIC) a cui si aggiunsero altre 13 tonnellate di composti intermedi usati per la produzione di un insetticida, il SEVIN, fuoriuscirono dai serbatoi di stoccaggio disperdendosi tra gli slums che circondavano la fabbrica. Circa 2.000 persone morirono prima del sorgere del sole, ma altre migliaia continuarono ad aggiungersene nel corso degli anni. Nell’ottobre del 1995, anno dell’ultimo dato ufficiale emesso dal governo indiano erano 7.575; oggi, dopo più accurate ricerche sul campo, si stima che tra le 16.000 e le 30.000 persone siano state vittime del MIC, mentre il Consiglio Indiano per la Ricerca Medica ha ufficialmente affermato che delle 520.000 persone intossicate dalla nube in quella terribile notte di dicembre, 50-70.000 hanno subito traumi permanenti. «Morti che in Occidente contano assai poco» mi dice la scrittrice indiana Arundathi Roy; «perché l’India è vista come un enorme serbatoio di manodopera e 16.000, 30.000 persone sono solo un’infima, trascurabile percentuale, per di più senza alcun diritto e voce». E’ vero, Bhopal è stato “solo” un “deprecabile incidente” dello sviluppo tecnologico portato dalle multinazionali. Il SEVIN prodotto dalla UCAR avrebbe dovuto servire a realizzare l’ambizioso progetto della Rivoluzione Verde lanciato dal governo di Nuova Delhi agli inizi degli anni Settanta; seicento milioni di indiani sarebbero finalmente riusciti a sfamarsi senza ricorrere ad aiuti esterni. Tutto era lecito per raggiungere l’obiettivo: anche permettere che attorno alla fabbrica che produceva e stoccava tonnellate di metilisocianato si creasse un’immensa baraccopoli. Arjung Singh, il Primo Ministro del Madhya Pradesh che, in cambio di voti per la sua rielezione aveva permesso l’occupazione del terreno attorno alla UCAR, non si è mai dovuto scomodare per apparire davanti ad una corte di giustizia. Gli speculatori di borsa, che si sono allegramente precipitati a comprare le azioni della multinazionale, crollate subito dopo l’incidente per poi rivenderle appena sono risalite, hanno incassato parole di elogio per la loro sagacia e prontezza. Warren Anderson, il Presidente dell’UCAR al tempo del disastro, ha avuto tutto il tempo di raggiungere felicemente la pensione, di ritirarsi in Florida e di scomparire nel nulla fino all’estate del 2002, quando Greenpeace è riuscita a rintracciarlo nella sua nuova tenuta di Hamptons, a Long Island. E nel frattempo a Bhopal, a vent’anni di distanza, si continua a morire. I 470 milioni di dollari che nel 1989 la UCAR è stata obbligata a pagare per decreto della Corte Suprema dell’India, sono giunti solo ora ai parenti delle vittime. Miracoli degli anniversari! Chi va a Bhopal può ancora vedere la fabbrica killer: nessuno ha pensato di smantellarla e bonificare la zona. Così le falde acquifere, già inquinate dalla scarsa sensibilità ambientale del governo indiano, hanno mostrato livelli di inquinamento incredibili: i clorurati presentano concentrazioni da cinque a settecento volte superiori ai limiti imposti dall’EPA per le acque potabili. «Cosa sarebbe accaduto se il MIC avesse ucciso a Detroit, Manchester, Colonia o a Torino?» si chiede Thara Gandhi, nipote del Mahatma che si batte affinché alle vittime di Bhopal sia riconosciuto il diritto di avere giustizia. La domanda di Gandhi apre un altro spazio di discussione: sarebbe stato possibile per una Union Carbide aprire una fabbrica la cui gestione poco attenta alla sicurezza era stata più volte denunciata, in un paese dell’Europa Occidentale o negli Stati Uniti?

© Piergiorgio Pescali

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