Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Reportage (Ottobre 2006)

Un Paese dalle due facce ermeticamente separate tra loro; è questa la prima impressione che la Corea del Nord infonde agli occhi dei pochi stranieri che riescono a visitare la nazione. La faccia agiata, prospera, intellettualmente e tecnicamente avanzata è quella che viene mostrata ai più, al turista di passaggio, alle delegazioni ufficiali. Scuole all’avanguardia, una capitale efficiente e opulenta, bambini sorridenti, appartamenti spaziosi e puliti, opere pubbliche faraoniche, fabbriche ed ospedali all’avanguardia. Ma tra queste isole felici, c’è un mare di emarginazione, povertà, degradazione. Dalla bomba atomica si passa direttamente alla spada. Neppure il turista più frettoloso può fare a meno di non vedere le case diroccate, i bambini che raccolgono i chicchi di riso caduti dai sacchi del programma WFP trasportati dai camion militari, le madri emaciate. Flash che illuminano brevemente un universo oscurato dalla propaganda del regime. Ma per chi riesce a recarsi nel Paese più volte e a conquistare la confidenza dei funzionari di partito, ecco che quei flash diventano sempre più persistenti sino a rischiarare lo sfondo che sta dietro il palcoscenico. E allora alle spalle dei supermercati colmi di prodotti giapponesi, cinesi e sudcoreani ad esclusivo appannaggio di chi si può permettere di avere valuta pregiata (alti funzionari di Partito, diplomatici, coloro che hanno parenti all’estero), ecco apparire un sottofondo fatto di miriadi di rivendite alimentari delle cooperative agricole che riforniscono la quasi totalità dei 22 milioni di cittadini nordcoreani. Ma gli scaffali sono quasi sempre vuoti. Sulla strada per Wonsan visito una di queste cooperative e il relativo spaccio. Arrivano tre avventori mostrando la tessera annonaria che dà loro il diritto di ricevere 30 kg di riso al mese, 5 kg di carne e 5 litri di olio. Ricevono solo quest’ultimo, il resto è già terminato. Se ne vanno senza protestare.: «Cosa vengono a fare?» chiede sarcastica la gestrice, «Da mesi non abbiamo più nulla da distribuire». Ironia della sorte, la cooperativa che sto visitando porta il nome di Chollima, il leggendario cavallo alato che il governo ha assunto a simbolo del progresso. «Progrediamo alla velocità di Chollima!» è lo slogan coniato da Kim Il Sung negli anni Ottanta per incitare il popolo a costruire un futuro socialista. La disintegrazione del COMECON ha privato Chollima della biada ed ora anziché volare percorrendo 1.000 ri al giorno, è costretto a zoppicare. Come l’unico trattore della cooperativa, un cimelio degli anni Settanta, che sbuffa lungo la strada un tempo asfaltata e che è l’unico mezzo per trasportare il riso verso la brillatura. «Abbiamo carburante appena sufficiente per terminare il trasporto» mi dice il Presidente della cooperativa, Sin Yong Im «Se non si rompe il motore, per la prima volta da 4 anni avremo riso a sufficienza per l’inverno». Il problema alimentare della Corea del Nord, non sta tanto nella quantità di raccolto prodotto, in genere sufficiente per sfamare la popolazione, quanto nel riuscire a trasportare tutte le messi per le successive operazioni prima che le piogge lo facciano marcire nei campi. Secondo un rapporto redatto dal WFP assieme all’UNICEF e allo stesso governo nordcoreano, il 7% dei bambini è gravemente malnutrito ed una madre su tre è anemica. Nell’orfanatrofio di Pyongyang, il migliore del Paese, il 20% dei bambini assistiti rischia di morire per malattie e denutrizione. «Ci serve un frigorifero, del latte, medicine» implora la direttrice. Durante l’era Clinton, Pyongyang aveva ottenuto che gli Stati Uniti fornissero petrolio per la propria economia in cambio della sospensione delle ricerche nucleari, ma dopo l’avvento di Bush e la scelta di intraprendere la politica di tagliare alla radice ogni fonte di approvvigionamento ai Paesi Canaglia, gli accordi sono saltati, aprendo la strada ai generali nordcoreani per il test nucleare. Ma la popolazione, oltre ad essere colpita dall’embargo, è anche provata dalle riforme economiche imposte dalla comunità internazionale per rendere il mercato nordcoreano più ricettivo verso la liberalizzazione. Se nelle campagne la riforma agraria ha permesso a numerose famiglie di sopravvivere, grazie all’ampliamento dei terreni coltivati in forma privata e ai mercati liberi settimanali, in città il legame tra stipendio e produttività ha penalizzato gli operai delle fabbriche statali, tecnologicamente meno avanzate. Di fronte ad un aumento dei prezzi del 150% tra il 2004 e il 2006, gli stipendi sono aumentati solo del 30%. Il resto, secondo i piani governativi avrebbe dovuto esser assorbito con i bonus di produzione. «Ma come facciamo a produrre di più se il tornio si rompe e non ci sono pezzi di ricambio o se ogni tre ore salta l’energia elettrica?» si chiede Han Byong Guk, un operaio della fabbrica Ryongsong Machine Complex di Hamhung. E lui guarda con invidia suo fratello, Pak, che allo stabilimento della Hyundai Asan a Kaesong, lavora 56 ore settimanali guadagnando 68 dollari al mese. «Anche io ne lavoro 56, ma ne guadagno meno di 30» lamenta Han. Il divario tra poveri e ricchi in Corea si sta allargando e questo porta anche ad un aumento della piccola criminalità, caratterizzata principalmente da furti di alimentari nei magazzini statali, ma anche di quella organizzata. Duemila dollari garantiscono un passaporto, ma non la sicurezza dell’asilo politico. La Cina ha recentemente rimpatriato una settantina di rifugiati nordcoreani e Minky Worden, direttrice dell’Ufficio Stampa di Human Rigths Watch (HRW), teme che siano stati giustiziati in pubblico. Confermata, invece, è l’esistenza di una quindicina di campi di riabilitazione, tutti situati in aree off-limits, che ospiterebbero circa 200.000 tra prigionieri politici e comuni. Amnesty International e HRW hanno riscontrato un irrigidimento del governo sul tema dei diritti umani; un inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. E allora rivedo gli occhi di chi ho incontrato nei viaggi in Corea del Nord. Lavoratori, mamme, bambini. Occhi pieni di speranza. La speranza di chi non vuole essere abbandonato e dimenticato. Neppure dopo un test nucleare.

© Piergiorgio Pescali

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