Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

S-21 - Nella prigione di Pol Pot
S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa
FESTIVAL FRANCESCANO 2014 - Rimini, piazza Tre Martiri,SABATO 27 SETTEMBRE - ORE 15.00 Presentazione del libro Il Custode di Terra Santa

INDOCINA - Un libro, una saggio, una guida per chi vuole approfondire

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Reportage (Gennaio 2008)

Nella piazza Kim Il Sung di Pyongyang, centinaia di studenti allineati si muovono all’unisono seguendo il ritmo scandito dalla voce della coreografa. Nello slargo laterale, altre ragazze in divisa militare marciano seguite dalla loro istruttrice. Tutto intorno la vita scorre normalmente: le macchine dei funzionari di partito, di governo e delle organizzazioni non governative accreditate nel Paese, si incrociano con i tram e i pullman pieni di passeggeri che tornano a casa dopo una giornata di lavoro.
Ogni tanto, una delle centrali elettriche che alimentano diversi settori della città, cessa di funzionare ed allora i tram si fermano, le luci dei lampioni e delle case si spengono e su tutto cade un silenzio che urla la difficile situazione in cui l’intero Paese è costretto a vivere.
La crisi generalizzata che da anni sta colpendo l’economia nordcoreana, non risparmia nessun campo. Dal 1991, anno del dissolvimento dell’URSS e del COMECON, il sistema che garantiva l’interscambio economico tra i vari Paesi del blocco socialista, la Corea del Nord si è trovata di punto in bianco a dover fronteggiare, praticamente da sola, una situazione economica aggravata da un’impressionante serie di catastrofi naturali.
L’improvvisa morte del leader e fondatore della Repubblica Democratica Popolare di Corea, Kim Il Sung, avvenuta nel 1994, ha aggravato ulteriormente la già precaria condizione sociale, aprendo numerose e inquietanti incognite sul corso politico che il suo successore designato, Kim Jong Il, avrebbe impartito al governo. Le scene di pianti e di isteria collettiva trasmesse dalla televisione nordcoreana appena divulgata la notizia della dipartita del Grande Leader, si alternavano alle tensioni che lungo il 38° Parallelo andavano facendosi sempre più tangibili. Pochi giorni prima, Jimmy Carter, a nome dell’amministrazione Clinton, aveva incontrato Kim Il sung riuscendo faticosamente a strappargli la promessa di incontrare il collega della Corea del Sud. Al tempo stesso il problema della centrale nucleare di Yongbyon, da cui, secondo gli Stati Uniti veniva trattato il combustibile esausto per estrarre plutonio in quantità sufficiente per preparare due-cinque bombe atomiche, era un’altra questione insoluta che aggravava i rapporti tra Pyongyang e Washington.
La successione al vertice ora rimetteva tutto in discussione.
I giornali di tutto il mondo dipingevano Kim Jong Il esattamente come lo avevano descritto per anni i servizi segreti sudcoreani e statunitensi: un gigolò viziato, totalmente incompetente di politica ed economia, quanto esperto di belle donne. Sul suo conto si raccontava che era alcolizzato, amava le macchine sportive, in particolare le Ferrari, con cui scorrazzava per le strade della capitale divertendosi ad investire i pedoni, che possedesse un’intera collezione dei film di 007 e che, per trastullarsi nelle noiose notti nordcoreane, faceva rapire belle fanciulle scandinave.
Chiaro che, con un leader di questo genere, la Corea del Nord ed il mondo intero non avevano di che rallegrarsi.
Eppure bastarono pochi mesi perché Kim Jong Il sconfessasse tutti i suoi detrattori, sorprendendo gli analisti: in poche settimane venne firmato un trattato con gli USA in cui la Corea del Nord si impegnava a non proseguire ricerche nucleari rivolte a scopi militari e subito dopo cominciò ad aprire spiragli di dialogo con i suoi vicini. I vertici militari, il cui assenso è indispensabile per mantenere saldo il potere in Nord Corea, vennero rimpastati, così come quelli del Partito dei Lavoratori, mentre il carisma del nuovo leader, offuscato da quello del padre, fu rafforzato grazie ad una capillare campagna di propaganda. «Per salire i gradini del potere in un Paese come la Corea del Nord, non basta avere il pedigree di famiglia» mi dice Noriyuki Suzuki, direttore di Radiopress, l’agenzia giapponese che monitorizza ed analizza tutti i dispacci e i comunicati ufficiali di Pyongyang, «La concorrenza al posto di Segretario Generale del Partito era spietata e sarebbe bastato un minimo passo falso perché Kim fosse spodestato. Un pazzo o un burocrate robotizzato non avrebbe certo potuto giocare le sue carte con oculata saggezza come ha fatto lui.»
Sulla stessa linea è il parere di uno dei maggiori analisti sudcoreani del Nord, Lee Jong Suk dell’Istituto Sejong di Seoul: «Leggendo gli articoli dei mass media occidentali sembrava che si stesse giocando una partita a scacchi tra concorrenti a cui erano rimasti solo i pedoni e Kim Jong Il, che aveva a disposizione la Regina, le Torri, i Cavalli e gli Alfieri. In realtà la successione non è mai stata sicura e sono note le divisioni all’interno della famiglia stessa di Kim Il Sung, con la potente alleanza tra la seconda moglie del Grande Leader, Kim Song Ae che premeva per favorire il suo figlio naturale, Kim Pyong Il e il fratello di Kim Il Sung, Kim Yong Ju. Il fatto che Jong Il sia riuscito a sconfiggere le opposizioni gioca a favore della sua abilità come politico.»
Tutto questo, a detta degli stessi osservatori più esperti, dimostra quanto poco si conosca della Corea del Nord e dei suoi politici, al di fuori dei propri confini.
La figura di Kim Jong Il, pur continuando a venire dipinta con tinte fosche, viene rivalutata, in particolare in Sud Corea, dove lo stesso Nord non è più visto come un antagonista contro cui combattere, bensì come un interlocutore con cui dialogare e da aiutare. Specialmente ora che la contrapposizione con gli Stati Uniti di Bush rischia di creare tensioni sempre più pericolose nella regione. La recente nuova crisi nucleare, scoppiata in tutta la sua drammatica pericolosità nell’ottobre 2002 con la dichiarazione di Pyongyang di voler riattivare le centrali di Yongbyon e le ricerche nucleari, ha la sua origine dalla decisione di Bush di voler sospendere unilateralmente gli invii di combustibile sottoscritti dall’accordo del 1994. Seoul, comprendendo la pericolosità della situazione, ha chiamato ai tavoli delle trattative Pyongyang, contravvenendo alle disposizioni della Casa Bianca.
E Pyongyang ha risposto.
A livello economico le riforme suggerite dagli organismi finanziari internazionali e introdotte nel sistema, hanno cominciato a creare qualche crepa nel controllo statale della produzione e della distribuzione dei beni di consumo. I tradizionali mercati dei contadini che ogni decade vengono allestiti nei distretti nordcoreani, se prima erano appena tollerati dalle autorità, oggi hanno una sorta di protezione anche da parte del governo, che ha aumentato anche l’area di terreno ad uso privato concesso ad ogni famiglia. Nelle fabbriche, almeno le poche che il petrolio, oramai centellinato, permette di far funzionare, i lavoratori si sono visti assegnare salari in base alla produttività. Il problema è che, spesso e volentieri, questa è crollata non per negligenza degli operai, ma per i numerosi black-out che straziano la continuità lavorativa.
Nelle cooperative, i raccolti, dopo anni di carestie, hanno cominciato ad essere abbondanti, ma la micidiale mistura fatta di varie penurie, penuria di mezzi, penuria di parti di ricambio, penuria di carburante, non ha migliorato la situazione alimentare nei villaggi più isolati. I raccolti spesso marciscono sui campi dove sono accumulati per mancanza di mezzi di trasporto.
Persino i funzionari governativi di rango più elevato, quelli residenti a Pyongyang, ad esempio, incontrano molte difficoltà nell’espletare i loro impegni. La guida incaricata ad accompagnarmi in visita alla corea, obbligatoria per ogni straniero, mi fa immediatamente capire che la situazione economica è disastrosa e che un eventuale contributo per le spese di benzina è benaccetto, anche se non obbligatorio. La crisi non risparmia neppure l’apparato militare: le Forze Armate nordcoreane appaiono, anche al profano, deboli, male armate e, spesso, capita di vedere lungo le autostrade deserte che si diramano da Pyongyang, mezzi militari in panne o a secco di carburante. Anche a Panmunjom, al 38° parallelo dove le due Coree si incontrano, i soldati nordcoreani, seppur scelti tra i più robusti e alimentati con razioni più abbondanti rispetto ai commilitoni dislocati nelle zone interne, appaiono piuttosto mingherlini se confrontati con i colleghi sudcoreani.
Insomma, quello che gli Stati uniti continuano a definire il terzo esercito del mondo, pronto ad attaccare il Sud è, in realtà, molto meno temibile e aggressivo di quanto si voglia far apparire.
Del resto il governo, ansioso di ottenere aiuti, non fa mistero della crisi. La prima volta che sono sbarcato in Nord Corea, nel 1996, era difficile far ammettere ad un qualsiasi funzionario che il Paese era economicamente impantanato e i visitatori venivano convogliati in fabbriche, scuole, ospedali modello. Poi, piano piano, durante le successive visite, qualcosa è cambiato: altre porte hanno cominciato ad aprirsi. Prima spiragli, poi si sono spalancate, mostrando l’aspetto più reale della nazione: cittadini che spigolano chicchi di riso o grano, che raccolgono legna da ardere per far fronte ai rigidi inverni, ospedali regionali privi di medicine, orfanotrofi che ospitano bambini scheletrici. «C’è stato un periodo in cui si raccoglievano e si mangiavano cortecce, radici ed erbe selvatiche» mi dice Kim Hyoun-ho, Direttore del Dipartimento Europeo del Comitato per le Relazioni Culturali con i Paesi Esteri. Oggi, grazie agli aiuti delle ONG presenti e dei Paesi donatori, la situazione comincia a migliorare, anche se il contrabbando con la Cina continua a rappresentare una pratica comune e chi ha i soldi per corrompere le guardie di frontiera, può importare ogni genere di mercanzia per rivenderla al fiorente mercato nero.
Chi, per lavoro o parentela, può contare su rapporti con l’estero, ha la possibilità di ottenere valuta pregiata, grazie alla quale comprare prodotti importati nei grandi magazzini delle città: stereo, televisori a colori, radio, telecamere, macchine fotografiche, pasta, liquori, vino, abbigliamento. Con i dollari, gli euro o gli yen c’è solo l’imbarazzo della scelta e in una società dove, teoricamente, la divisione di classe è ridotta al minimo, sono proprio questi status simbol occidentali ad individuare le reali differenze sociali esistenti nel Paese.
Ma i cambiamenti in atto in Corea del Nord non si individuano solo a livello economico o sociale: i diritti umani, che durante gli anni Sessanta-Ottanta venivano calpestati per lo meno come lo erano al Sud, oggi cominciano ad essere più rispettati. Le condizioni di vita nei campi di rieducazione (in realtà vere e proprie aree di centinaia di chilometri quadrati vietate anche ai cittadini liberi nordcoreani e adibiti ad ospitare migliaia di prigionieri), sono diventate più tollerabili. Le amnistie, la necessità di nuova forza lavoro e l’attento monitoraggio delle organizzazioni che si occupano di diritti umani, hanno indotto le autorità nordcoreane a chiudere numerosi campi e liberarne i detenuti.
Accanto a questi esempi di liberalizzazione, si è parallelamente sviluppata una maggiore libertà religiosa, già avviata, peraltro, alla metà degli anni Ottanta con l’inaugurazione di nuovi templi buddisti e chiese cristiane, tra cui quella cattolica di Changchung.
Anzi, proprio con il Vaticano il governo di Pyongyang ha mantenuto buoni rapporti. Le organizzazioni di assistenza sociale cattoliche, come la Caritas, Misereor, i frati Benedettini, lavorano già all’interno del paese, godendo della stima dei funzionari nordcoreani. Questa fiducia, riposta principalmente per via dell’assenza di secondi intenti politici a cui sottoporre gli aiuti, rischia però di essere rovinata dalla presenza delle sette cristiane e buddiste sudcoreane, giapponesi e statunitensi appostate lungo i confini settentrionali cinesi. Finanziate dai vari dipartimenti del governo USA, la maggior parte di queste chiese avvicinano i contrabbandieri nordcoreani dando loro soldi e pacchi viveri da distribuire nei villaggi all’interno della nazione. Si spera, così facendo, di creare un retroterra culturale e religioso adatto per stabilire eventuali chiese e punti di informazione per controllare la reale consistenza del regime. A Pyongyang e nelle principali città, questo lavoro è affidato a missionari che, camuffati da uomini d’affari, hanno la possibilità di girare in lungo e in largo ampie zone del Paese e contattare direttamente le famiglie. Elargendo generosamente yen e dollari, sembra si siano già creati una rete di proseliti i cui uomini più fidati sono veri e propri “dormienti”, informatori al servizio dei servizi segreti sudcoreani, statunitensi e giapponesi, pronti ad uscire allo scoperto e ad agire nel caso di una sollevazione popolare.
Un’ipotesi, questa della rivolta, che nessun governo della regione nordorientale dell’Asia si augura, perché la caduta improvvisa del regime di Kim Jong Il destabilizzerebbe, in modo forse irrimediabilmente pericoloso, i fragili equilibri instauratisi tra le varie capitali. E’ con questa paura che Seoul e, in misura più timida, Tokyo, hanno mostrato freddezza nei confronti di Bush e della politica da lui intrapresa nella regione. Il Rapporto Armitage, lungo i cui parametri si dipana la ragion di stato della Casa Bianca, afferma testualmente che «se non è possibile giungere ad una soluzione diplomatica, è meglio scoprirlo prima che dopo per proteggere meglio i nostri interessi di sicurezza. Se la Corea del Nord non lascia altra scelta che il confronto, questo deve essere giocato secondo i nostri termini, non i loro». Questo confronto coinvolgerebbe anche la Cina, la quale è una potenza fondamentale in Asia. Il ruolo che il Rapporto Armitage affida a Pechino, però, preoccupa gli alleati USA: «Nessun approccio con la Corea del Nord può essere vincente se non ci si assicura la cooperazione con la Cina. Pechino deve capire che sarà punita per il fallimento o sarà premiata per la sua cooperazione» ed ancora, «La cooperazione attiva della Cina è vitale e dato che Cina e USA dividono comuni interessi nella penisola coreana, ci si aspetta che la Cina agisca in maniera positiva. Nel caso scoppi un conflitto come risultante di una inadeguata cooperazione, Pechino dovrà assumersene la responsabilità».
Con queste premesse, appare chiaro che il futuro dell’Asia Nordorientale è più nelle mani di Washington che dei Paesi interessati ad un eventuale conflitto.

© Piergiorgio Pescali

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