Chi libererà Aung San Suu Kyi? In Europa e nel mondo esistono diversi movimenti che si occupano di informare l’opinione pubblica della situazione birmana e di non far dimenticare ai governi ciò che sta accadendo nel paese asiatico. Ma, oltre a queste organizzazioni più o meno volontarie, che influenza hanno i politici su Pyinmana (la nuova capitale del Myanmar)? Neppure i cinquantanove Capi di Stato firmatari della lettera che chiedeva alla giunta di liberare Aung San Suu Kyi, sono riusciti a convincere Than Shwe ad aprire il cancello del numero 54 di University Avenue.
Non che le firme apposte in calce all’appello rappresentassero la purezza, l’onestà e l’incorruttibilità della politica mondiale. Kim Dae Jung, Junichiro Koizumi, Mahatir Mohammad, sono stati a capo di nazioni che con la giunta birmana hanno concluso e continuano a concludere lucrosi affari, alla faccia del boicottaggio totale invocato da Suu. Benazir Bhutto è stata campione di nepotismo e corruzione in Pakistan e chiaro è il suo tentativo di sillogismo nel farsi passare come la Aung San Suu Kyi pakistana e rientrare in politica. Infine, George Bush (padre, non figlio) non si può certo definire un fulgido esempio di pace e democrazia.
Ma anche in casa nostra, la classe politica non si distingue per la percezione del problema Myanmar. Lo ha dimostrato ultimamente il buon Raffaele Bonanni, Segretario Generale della CISL, il quale, durante il comizio del Primo Maggio a Torino, ha inveito contro la brutale giunta militare birmana, presentando una Aung San Suu Kyi al maschile, sindacalista (sic!) e pronunciando il nome Kyi con la c dura (“chi” anziché “ci”). Difficile, di fronte ad una sfilza di errori così grossolani e racchiusi in poche frasi, pensare ad una deprecabile coincidenza. Del resto, nessuno in platea sembra essersene accorto (ma quanti sapevano esattamente di chi si stava parlando?). I militari sanno quanto difficile sia offrire al mondo una facciata accettabile del loro regime, ma sono anche a conoscenza del fatto che il frinio delle cicale sovrasta l’esemplare lavoro silenzioso delle formiche. Saranno loro, alla fine, e non la politica, a salvare Aung San Suu Kyi.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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