A Pailin, la notizia dell’arresto di Ta Mok è stata accolta con relativa indifferenza. Qui, il ricordo del comandante Khmer Rosso, l’unico della dirigenza storica che ha rifiutato fino all’ultimo di arrendersi al governo di Hun Sen, ha lasciato ben poche tracce. Oggi Pailin è il centro di una sorta di regione autonoma governata da Ieng Sary, ex Ministro degli Esteri di Kampuchea Democratica, ex cognato di Pol Pot, ex Khmer Rosso, che dall’agosto 1996 si è dissociato dal movimento, dando inizio ad una inarrestabile quanto tragica agonia terminata, appunto, solo con la cattura di Ta Mok, avvenuta due settimane fa.
Dal momento in cui Sary ha smesso i panni del guerrigliero comunista, Pailin è divenuto il rifugio più sicuro per tutti i leaders Khmer Rossi che, uno ad uno, abbandonavano le file del movimento. Mak Ben, Chounn Youran, Khieu Samphan e Nuon Chea, oggi abitano in questo minuscolo villaggio, protetti da uomini fidati e pronti ad imbracciare le armi contro una eventuale spedizione bellica di Phnom Penh.
Hun Sen, in una recente intervista, sembra infatti che abbia ribaltato completamente la sua opinione su un eventuale processo alla leadership storica dei Khmer Rossi.
- A Phnom Penh hanno chiesto scusa per i crimini commessi durante il loro regime, ma non penso sia sufficiente.- ha commentato il Premier, riferendosi agli atti di pentimento proferiti da Khieu Samphan e Nuon Chea di fronte ai giornalisti alla fine del dicembre scorso. Hun Sen ha anche aggiunto che i due dirigenti devono prepararsi ad essere processati da un tribunale cambogiano -assieme ai loro compagni... Spero di non dover spedire delle truppe per riportarli nella capitale. A quanto ne so, i due sono entrambi pronti per un processo.-
Sino ad ora Khieu Samphan e Nuon Chea non si sono pronunciati in merito e qui non sembra siano in atto movimenti di truppe da una parte o dall’altra. La gente del luogo si mostra piuttosto indifferente di fronte ad un eventuale confronto militare, forse perché lo ritiene un’ipotesi alquanto remota: -Non penso che Pailin possa ridiventare il centro di un nuovo movimento di guerriglia contro il regime centrale. Ci sono troppi interessi in ballo da tutte e due le parti perché si rischi di distruggere quanto si è costruito in questi due anni.- dice il padrone di un negozio di mercerie. A pochi metri dall’unico e fetido albergo della città, sorge il Cesar Palace, un casinò costruito per ospitare ricchi uomini d’affari thailandesi (il confine è a soli pochi chilometri) in cerca di ebbrezza e nuove esperienze. Nelle previsioni del suo padrone e costruttore, il magnate Theng Bunma, le sale da gioco sarebbero dovute divenire la nuova ricchezza di Pailin, ma la mancanza di adeguati collegamenti con il confine, l’assenza di infrastrutture alberghiere adeguate e il ritardo con cui si sta sviluppando la cittadina stessa, stanno ostacolando il decollo del progetto.
Nel frattempo la vita tra queste colline ricche di rubini e zaffiri, la vita scorre lenta e tranquilla. Ogni tanto, lungo la via principale, passano delle auto con targa thailandese. Su di esse si possono scorgere volti noti in tutto il mondo, da Ieng Sary a Khieu Samphan. La gente, indifferente, continua a chiacchierare, bere un caffè, leggere una rivista. Non ha risentimenti verso chi il mondo vorrebbe condannare. Dopotutto, qui a Pailin, la vita è più agiata che in altre parti della Cambogia.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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