Non dimenticare la storia


Als die Nazis die Kommunisten holten, habe ich geschwiegen;
ich war ja kein Kommunist.
Als sie die Sozialdemokraten einsperrten, habe ich geschwiegen;

ich war ja kein Sozialdemokrat.
Als sie die Gewerkschafter holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Gewerkschafter.
Als sie die Juden holten, habe ich nicht protestiert;

ich war ja kein Jude.
Als sie mich holten,
gab es keinen mehr, der protestierte.


Quando i nazisti vennero per i comunisti, io restai in silenzio;
non ero comunista.
Quando rinchiusero i socialdemocratici, rimasi in silenzio;
non ero un socialdemocratico.
Quando vennero per i sindacalisti, io non feci sentire la mia voce;
non ero un sindacalista.
Quando vennero per gli ebrei, non protestai;
non ero un ebreo.
Quando vennero per me, non era più rimasto nessuno che potesse far sentire la mia voce.

(Emil Gustav Friedrich Martin Niemöller; Lippstadt, 14 gennaio 1892 – Wiesbaden, 6 marzo 1984)



S-21 - Nella prigione di Pol Pot

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S-21; un romanzo storico, una narrazione viva e potente che porta il lettore in una struttura detentiva istituita dal regime degli Khmer Rossi, una prigione da cui pochi sono tornati, seppur segnati nel corpo e nello spirito, vivi.

IL CUSTODE DI TERRA SANTA - un colloquio con padre Pierbattista Pizzaballa

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Kampuchea Democratica: quanti morti?

QUANTI CAMBOGIANI SONO PERITI DURANTE KAMPUCHEA DEMOCRATICA?
Sin dalla caduta del regime di Kampuchea Democratica a Phnom Penh, sono state emesse un’infinità di cifre sulle vittime causate dai tre anni e otto mesi di potere Khmer Rosso. I numeri venivano arbitrariamente gonfiati o ridotti a seconda della convenienza di chi forniva le cifre, privando di ogni coerenza i supposti calcoli utilizzati per trarre il numero definitivo. Ad esempio, i primi a fornire un numero ufficiale dei morti furono i vietnamiti; ansiosi di ottenere l’appoggio internazionale per la loro azione di invasione militare, gonfiarono artificialmente le cifre, che ben presto raggiunsero i 4 milioni (su una popolazione che, nel 1975, non raggiungeva gli otto milioni di abitanti). Viceversa, stime più contenute indicavano i cambogiani periti tra le 800.000 e il milione di unità. A complicare ulteriormente i conteggi, c’era il fatto che l’ultimo censimento ufficiale fatto in Cambogia risaliva al 1962.
Un primo calcolo “scientificamente” attendibile in questo senso fu fatto da un gruppo di analisti solo alla metà degli anni Novanta, acquisendo i pochi dati ufficiali redatti prima, durante e dopo l’avvento di Pol Pot al governo ed estrapolandoli con formule matematiche.
La base comune, accettata da quasi tutti i demografi, per risalire alle perdite umane del periodo Khmer Rosso, fu la stima fatta nel 1970 da Jacques Mingozzi, secondo cui la popolazione cambogiana al tempo assommava a 7.363.000 unità (Jacques Mingozzi, Cambodge: Faits et problèmes de population, Parigi, CNRS, 1973, pp. 226, 212). Nonostante l’alto tasso di crescita naturale, la recrudescenza della guerra e i bombardamenti statunitensi rallentarono il tasso di crescita nei successivi cinque anni, tanto che alla metà del 1974, stime dell’ONU, suffragate da calcoli di ONG stranieri operanti nel territorio, si stimava che i cambogiani fossero saliti a 7.890.000. Una cifra non irreale, se nel marzo 1976 la stessa Kampuchea Democratica fece ufficialmente sapere tramite Radio Phnom Penh, che la popolazione che viveva sotto il suo controllo era di 7.735.279 persone (Radio Phnom Penh, 21 Marzo 1976), cifra ridotta cinque mesi dopo a 7.333.000 (“The Party’s Four-Year Plan to Build Socialism in All Fields, 1977-1980”, Documento del Centro CPK datato Luglio-Agosto 1976, in Chanthou Boua, David P. Chandler e Ben Kiernan, Pol Pot Plans the Future:Confidential Leadership Documents from Democratic Kampuchea, 1976-77, New Haven, Yale University Southeast Asia Studies Coucil Monograph N°33, 1988, pp. 45-119, p. 52, tabella 1). Da quel momento non si sono più avute notizie attendibili sulla popolazione del Paese fino alla caduta del regime.
Nel gennaio 1979 si cercò di fare una prima stima dei cambogiani conteggiando le derrate alimentari distribuite, i capi di vestiario, le case ed i villaggi. Si arrivò così a formare una finestra di un minimo di 6 milioni ed massimo di 6,7 milioni di persone (“AFP Reports Figures on Kampuchea Population”, Agence France-Presse, Hong Kong, 22 Gennaio 1980), con una prevalenza di stime verso il basso (secondo l’FBI 6.130.000 abitanti, FBIS, Asia Pacific, 24 Gennaio 1980, p.H4).
Ben Kiernan, nel suo libro The Pol Pot Regime, è forse l’unico ad aver tentato di dare una stima scientifica sulle perdite cambogiane durante Kampuchea Democratica, dividendo le vittime secondo i criteri di classificazione del nuovo regime: Popolo Nuovo e Popolo Base. Alla prima classe sociale appartenevano 3.050.000 cambogiani, di cui, al 17 aprile 1975, solo 610.000 erano dislocati nelle campagne. A parte i vietnamiti (10.000 unità tutti urbanizzzati), il gruppo che subì maggiori perdite fu quello cinese: 215.000 cambogiani appartenenti a questa etnia su un totale di 430.000 (50%), morirono prima della caduta del regime. Dei due milioni di khmer residenti nelle città (principalmente Phnom Penh) alla vigilia della Liberazione, 500.000 (pari al 25%) perirono, a cui se ne devono aggiungere altri 150.000 (su un totale di 600.000) residenti nelle campagne. Il totale delle vittime del Popolo Nuovo fu di 879.000 (29%).
Una percentuale inferiore colpì il Popolo Base: su 4.840.000 componenti, 792.000 soccombettero alle privazioni del regime (16%). Anche in questo caso i gruppi etnici non-khmer ebbero le perdite maggiori: tralasciando i vietnamiti (100%), furono i Thai e i Khmer Krom a subire i lutti più numerosi, mentre i Cham musulmani ebbero il maggior numero di morti in assoluto dopo i Khmer (90.000 vittime su una popolazione pre 1975 di 250.000 unità). Solo i tribali, considerati da Pol Pot gruppo a lui fedele tanto da scegliere le proprie guardie del corpo tra le loro file, ebbero una percentuale di morti pari a quella che colpì i khmer: 15%.
In totale, su 7.890.000 cambogiani in vita il 17 aprile 1975, 1.671.000 morirono (21%). C’è però da notare che non tutti furono vittime dirette delle violenze dei Khmer Rossi: la maggioranza morì per affaticamento da superlavoro, stress psicofisico, malattie, malnutrizione e denutrizione, mentre solo una parte (si stima circa 3-400.000) caddero vittime delle epurazioni.

Vittime approssimative in Kampuchea Democratica 1975-1979
GRUPPO SOCIALE
POPOLAZIONE 1975
VITTIME STIMATE
PERCENTUALE
POPOLO NUOVO
Khmer urbani
2.000.000
500.000
25%
Khmer rurali
600.000
150.000
25%
Cinesi (tutti urbani)
430.000
215.000
50%
Vietnamiti (tutti urbani)
10.000
10.000
100%
Lao (rurali)
10.000
4.000
40%
TOTALE POPOLO NUOVO
3.050.000
879.000
29%




POPOLO BASE
Khmer rurali
4.500.000
675.000
15%
Khmer Krom
5.000
2.000
40%
Cham (tutti rurali)
250.000
90.000
36%
Vietnamiti (rurali)
10.000
10.000
100%
Thai (rurali)
20.000
8.000
40%
Tribali
60.000
9.000
15%
TOTALE POPOLO BASE
4.840.000
792.000
16%
TOTALE CAMBOGIA
7.890.000
1.671.000
21%

QUANTI CAMBOGIANI SONO PERITI DURANTE KAMPUCHEA DEMOCRATICA? LA STIMA DI KAMPUCHEA DEMOCRATICA
Anche il governo di Kampuchea Democratica è intervenuta diverse volte sulla questione delle vittime cambogiane perite durante il periodo di potere. La prima menzione fu fatta da Pol Pot stesso nel dicembre 1979, quando quattro giornalisti giapponesi ebbero la possibilità di intervistarlo in un campo di addestramento nella giungla cambogiana. Il leader khmer affermò che «Solo diverse migliaia di kampucheani possono essere stati uccisi a causa di qualche errore nel mettere in pratica la nostra politica di provvedere una vita decente al nostro popolo.» Le accuse di milioni di morti rivolte al suo governo da parte dei vietnamiti, vennero liquidate come montature (Sho Ishikawa, “I Want to Join with Sihanouk, Lon Nol”, Bangkok Post, 11 dicembre 1979).
Subito dopo, l’11 e 12 dicembre 1979, ad una televisione statunitense, l’ABC (American Broadcasting Corporation), ancora Pol Pot paragonava i vietnamiti a Hitler denunciando la «guerra di genocidio» che stavano conducendo contro il popolo cambogiano: «Hitler uccise gli ebrei e quelli che si opponevano a lui. Il Viet Nam uccide coloro che si oppongono al suo volere e la gente innocente che non si unisce alla sua guerra contro la Cambogia.»
In una terza serie di interviste, questa volta concesse a dei giornalisti svedesi, Pol Pot minimizzò ulteriormente il numero dei cambogiani uccisi durante il suo governo: «il numero di gente morte a causa dei nostri errori, erano solo poche centinaia.»
Nel 1987 il portavoce dei Khmer Rossi, Khieu Samphan, fece notare che meno di 3.000 persone morirono in Kampuchea Democratica come risultato degli «errori» del regime. Khieu Samphan, però non negava che durante la sua presidenza in Cambogia vi furono decine di migliaia di vittime, ma le imputava al Vietnam: secondo lui furono ben 30.000 i cambogiani uccisi da «agenti vietnamiti»; 11.000 di questi infiltrati vennero infine scoperti e giustiziati. A chi gli chiedeva giustificazione delle fosse comuni contenenti i resti di centinaia di migliaia di cambogiani, Samphan rispondeva che nel 1980 «circa 1,5 milioni di persone morirono vittime degli aggressori vietnamiti.» (Ufficio del Vice Presidente di Kampuchea Democratica in carica degli Affari Esteri - Khieu Samphan- , “What Are the Truth and Justice about the Accusations against Democratic Kampuchea of Massa Killings from 1975 to 1978?”, luglio 1987)
Per anni i Khmer Rossi negarono ogni responsabilità di uccisioni di massa, respingendo anche le accuse di aver gestito la prigione S-21 di Phnom Penh. Solo all’inizio degli anni Novanta, con le prime defezioni, alcuni leaders, come Ieng Sary, ammisero che sotto il regime di Kampuchea Democratica si era creata una situazione di fobia verso chiunque ostentasse un atteggiamento non in linea con le direttive del “Centro”. Tutte le colpe, però, venivano fatte ricadere su un solo uomo: Pol Pot. La definitiva scomparsa del movimento Khmer Rosso, avvenuta alla fine degli anni Novanta, scatenò una serie di scuse da parte dei maggiori dirigenti: Khieu Samphan e Nuon Chea giusero a Phnom Penh e, in una conferenza stampa, si dissero dispiaciuti per le enormi sofferenze causate «agli uomini e agli animali» durante il loro governo. Successivamente anche Ta Mok, responsabile di migliaia di esecuzioni, affermò che Kampuchea Democratica aveva dato origine a una serie di violenze e uccisioni impressionante, facendo però ricadere la colpa a Pol Pot, Son Sen (già defunti) e al loro entourage.

© Piergiorgio Pescali

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