Campi recintati da nastri rossi si susseguono per chilometri
e chilometri tra un villaggio e l’altro. Ogni tanto un cartello, anch’esso rosso, con un teschio bianco avverte che il terreno è cosparso di mine e che avventurarvisi potrebbe significare una menomazione fisica permanente, se non la perdita della vita stessa. Dal villaggio di S’bav, a quaranta chilometri da Battambang, sino a Pailin, altri quaranta chilometri più a sud-ovest, verso il confine con la Thailandia, la scena sopra descritta si ripete senza sosta, rendendo la zona una delle aree a più alta concentrazione di mine esistente al mondo. Qui, forze governative e Khmer Rossi si sono combattute l’una contro l’altra sino allo storico abbraccio tra Hun Sen e Ieng Sary nell’agosto 1996, che ha posto ufficialmente fine alla guerra. Sì, alla guerra, ma non alle sue vittime, dato che lo sminamento dei campi, affidato al CMAG (Cambodian Mines Advisory Group), è ancora alle fasi iniziali e procedendo al ritmo attuale occorreranno decenni prima che sia completato.
Sino al 25 luglio 1998 scorso i cambogiani che saltavano su una mina dovevano sottoporsi alle cure (o per meglio dire, alle torture) degli ospedali di Battambang, la capitale della regione, le cui equipes mediche sono spesso formate da infermiere non diplomate senza la minima cognizione di tecnica chirurgica. Sino al 25 luglio 1998, dicevo, perché proprio alla vigilia delle elezioni generali di quell’anno, è stato inaugurato il primo ospedale di Emergency in Cambogia. Qui, accanto a centoventicinque impiegati locali, vi lavorano dieci medici stranieri, per lo più italiani, guidati dal chirurgo belga Gustavs Questiaux, uno tra i più esperti chirurghi di guerra esistenti al mondo.
Tutti questi volontari hanno sacrificato parte del loro tempo, denaro e carriera per una causa ben precisa:
-Ritrovare l’etica che dovrebbe essere la base della scienza medica- come spiega il più entusiasta del gruppo, Donaldo Ciresi, responsabile della farmacia.
Ed in linea con questa filosofia di ricerca etica del proprio lavoro, ben si addice la dedica ad Ilaria Alpi con cui Gino Strada, fondatore e coordinatore di Emergency, ha voluto nominare l’ospedale. Del resto il principale obiettivo che si sono dati i volontari dell’organizzazione italiana, è quello di far capire al personale locale che ogni paziente, qualunque sia la sua razza, ceto, idea, ricchezza, deve essere trattato con uguale rispetto e dignità. Troppo spesso, infatti, negli ospedali cambogiani la cura che viene offerta ai malati è direttamente proporzionale al loro peso sociale e finanziario; un sintomo della perdita di valori e di ideologia che già da tempo ha contagiato la società e che sta dilagando in tutti i settori pubblici e privati. Gino Strada spera che nel giro di tre anni, l’ospedale sarà pronto per essere consegnato alla completa gestione cambogiana. Un traguardo ambizioso, specie se si tiene conto che rispetto ad altri Paesi, le mine disseminate in Cambogia sono caricate con un contenuto di tritolo più elevato, rendendo più complicata l’intera operazione chirurgica che dovrà essere effettuata da medici sempre più preparati.
-Spesso la quantità di esplosivo supera i trenta grammi, il limite oltre il quale il danno inferto alla gamba è tale che si rende necessaria l’amputazione sino all’anca.- afferma Roberto Bottura. Come è accaduto ad un giovane bonzo che da anni era solito percorrere il medesimo sentiero per raggiungere il villaggio vicino; le piogge monsoniche hanno allentato il terreno permettendo ad una mina di scivolare nella fanghiglia, sconfinare dal terreno recintato dal CMAG e invadere il percorso del monaco.
A lui sono state amputate entrambe le gambe.
© Piergiorgio Pescali
S-21 - Nella prigione di Pol Pot
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