Il
17 marzo 1959, pochi mesi dopo la vittoria di Fidel Castro, un documento della
CIA metteva in guardia il governo americano sull’ «incoraggiamento di complotti
rivoluzionari contro i “dittatori” (tra virgolette nell’originale, ndr) (…) di Repubblica Dominicana, Haiti,
Nicaragua e Paraguay». Era la prima di una
serie di accuse mirate a rovesciare il governo dell’isola, sempre più
recalcitrante ad accettare i “consigli” di Washington. Nel 1960, nel pieno
della crisi tra USA e URSS riguardo l’aereo spia americano U-2, intercettato e
abbattuto a Sverdlosk, Castro nazionalizzò le raffinerie di petrolio, le
piantagioni di canna da zucchero e le compagnie elettriche che, per la
maggioranza, appartenevano a uomini d’affari americani. Fu allora che la CIA,
con l’avvallo del presidente Eisenhower, pensò di intervenire direttamente per
abbattere il governo de L’Avana. Il 18 gennaio 1960 venne creata la Western Hemisphere Division Branch 4, o
WH/4, che avrebbe dovuto dirigere le azioni cubane. I 40 uomini di cui si
componeva la sezione, di cui 20 erano a L’Avana e 2 a Santiago di Cuba,
aumentarono sino a divenire 588 il 16 aprile 1961, la vigilia dell’assalto alla
Baia dei Porci. Secondo i piani originari, nessun riferimento avrebbe dovuto
ricondurre l’attacco al governo degli Stati Uniti o a qualsiasi organizzazione
ad esso collegata. Nel Memorandum
redatto per il presidente Kennedy dal suo consigliere più fidato, Arthur
Schlesinger, il 10 aprile 1961, ad una probabile domanda effettuata in
conferenza stampa sul possibile coinvolgimento di Washington su eventuali
tentativi di ribaltamento del governo a Cuba, Kennedy avrebbe dovuto
testualmente rispondere: «Io posso
assicurare che il governo USA non ha intenzione di usare la forza per
spodestare Castro». Il presidente seguì i
consigli di Schlesinger, non solo con la stampa, ma anche con Nikita
Khrushchev; il 18 aprile, mentre era in corso l’invasione nell’isola, scrisse
al Segretario del PCUS che «…gli
USA non intendono effettuare interventi militari a Cuba.»
Per
nascondere la mano del grande burattinaio, il WH/4 cominciò a reclutare cubani
sia sul loro territorio patrio, sia tra gli esiliati residenti a Miami. Non si
badò certo a spese: venne organizzato un Frente
Revolucionario Democratico che agiva sotto la parola d’ordine «Restauriamo la
Rivoluzione», si fondarono periodici,
una radio (Radio Swan), una televisione in lingua spagnola, una collana di
fumetti comici aventi come soggetto Fidel Castro, una compagnia aerea e una
marittima. Panama, Guatemala e Nicaragua acconsentirono che la CIA installasse
aeroporti, basi navali e campi di addestramento sui loro territori e
nell’agosto 1960 il piano fu presentato a Eisenhower che lo lasciò in eredità
al suo successore, Kennedy, assieme al suo costo esorbitante: quasi 50 milioni
di dollari.
Fidel Castro mentre fuma un sigaro durante il primo incontro con due senatori a Cuba, 29 settembre 1974 - ©AP
Durante
la notte tra il 16 e il 17 aprile 1961, 1511 uomini armati di fucili automatici
Browning, mitragliatrici, mortai, lanciarazzi, lanciafiamme, 5 carri armati
M-41, 12 carri pesanti ed altri mezzi militari leggeri, cominciarono a sbarcare
nella Baia dei Porci, mentre altri 177 vennero paracadutati sull’isola. Secondo
il Programm of Covert Action Against the
Castro Regime redatto dalla CIA, questi uomini «si
sarebbero dovuti congiungere con un gruppo di dissidenti cubani nascosti in tre
aree di Cuba: Piper del Rio, Escambray e la Sierra Maestra» per convergere su L’Avana
preceduti da assalti aerei. La riuscita del piano era data per scontata, tanto
che Schlesinger aveva già avvertito Kennedy di «pensare immediatamente ad un uomo
sufficientemente scaltro, aggressivo e influente da mandare a L’Avana come
ambasciatore USA ed essere sicuri che il nuovo regime vari un programma
socialmente progressista.»
La
Baia dei Porci si rivelò, invece, un fallimento su tutti i fronti che venne
analizzato da Lyman Kirkpatrick nel rapporto Inspector General Survey: alla base dello smacco, secondo il
documento, stava «la
riduzione a ruolo di marionette dei leaders cubani in esilio, (…) la scarsa competenza delle persone messe al comando dell’operazione,
(…) la mancanza di informazioni
affidabili sulla reale situazione cubana»
e, soprattutto, l’impossibilità di «sostenere
un’organizzazione di resistenza sotto favorevoli condizioni».
Le conseguenze dell’abortito colpo di stato, secondo la CIA avrebbero portato «Castro ad essere più
forte che mai. (…) A lui verrà dato pieno appoggio politico e
materiale dal Blocco comunista (…).
Noi pensiamo- concludeva il rapporto –che
il Blocco comunista possa decidere di appoggiare ancor più la causa del Pathet
Lao in Laos». L’innesco dato da Cuba
servì, infatti, a incendiare la situazione in Sud Est Asiatico che, di lì a
poco, sarebbe diventata il nuovo incubo americano.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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