Da settimane la Corea del Nord minaccia attacchi missilistici contro la Corea del Sud e il suo principale alleato, gli Stati Uniti. Il Paese anche in passato ha alzato volutamente i toni, solitamente per motivi di propaganda e per mantenere unito il proprio popolo - che deve affrontare un’estrema povertà – contro un nemico comune. Secondo diversi analisti non ci sono pericoli imminenti e la possibilità di un vero e proprio attacco su larga scala del regime di Kim Jong-un sembra essere poco probabile. Ne abbiamo parlato con PierGiorgio Pescali, giornalista italiano esperto di Asia e uno dei pochi dal 1996 ad avere accesso alla Corea del Nord.
Quanto sono credibili le minacce di Pyongyang?
Molto poco. Non è certo la prima volta che il regime nordcoreano usa il deterrente militare in chiave anti-giapponese o sudcoreana. La novità, questa volta, è che hanno minacciato direttamente gli Stati Uniti. Ma come è accaduto sempre in passato, le aggressioni verbali arrivano dopo le tensioni interne al regime...
Di quali tensioni stiamo parlando?
Di tensioni sociali ed economiche. E di un conflitto tra il giovane leader Kim Jong-un e i generali dell’Esercito nordocoreano, che sono i veri conservatori del Paese. Kim Jong-un è uno dei leader paradossalmente migliori che Pyongyang potesse trovare: ha studiato in Svizzera, conosce le leggi del mercato e anche per questo negli ultimi mesi ha approvato delle aperture sociali impensabili durante il regno del padre.
Ha abilitato internet, in certi hotel della capitale sono state autorizzate antenne paraboliche che trasmettono canali televisivi internazionali come la “CNN” e ha persino introdotto l’utilizzo dei cellulari.
Certo, registrati e per chi se lo può permettere, ma ci sono. Queste aperture hanno fatto sì che la leadership militare storcesse il naso. Due settimane fa, le agenzie di stampa avevano addirittura parlato di un viaggio di Kim Jon-un a Washington: un fatto inaccettabile per i militari. Così, per mantenere la sua posizione di leader, messa in discussione dai vertici dell’Esercito, l’erede di Kim Jong-il ha minacciato Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti. Lo ha fatto per compensare le mancanze ideologiche che sono venute a crearsi con le sue aperture «occidentali». Kim Jong-un deve trovare un equilibrio tra i poteri che ci sono all’interno dell’Assemblea del Popolo. Non è il padrone assoluto della Corea come si vorrebbe credere. Deve scontrarsi con i generali...
Cosa vuole ottenere? E soprattutto, militarmente quanto realmente sarebbero efficaci?
La Corea del Nord è poverissima rispetto al Sud: non ha petrolio, nè risorse naturali. L’esercito non è così forte come sembra: viaggiando nel Paese si notano, è vero, decine di posti di blocco militari. Ma i camion dell’esercito sono fermi per le strade per l’assenza di carburante, gli aerei militari restano a terra perché su 100 velivoli disponibili, solo 30 funzionano. Su tre test missilistici realizzati nei mesi scorsi, due hanno fallito. E dubito che anche un solo razzo nordcoreano sia veramente in grado di varcare i confini del Paese. L’esercito di Seul è tecnologicamente molto superiore, e soprattutto supportato dagli Stati Uniti. A Pyongyang non sono così ingenui da non sapere che scatenare una guerra vorrebbe dire essere distrutti.
Torniamo alle minacce dell’uso di armi atomiche. Cosa spera di ottenere dai ‘‘nemici’’ Kim Jong-un?
Aiuti. Finanziari, economici, alimentari. Il Paese è allo stremo ma non ha merci di scambio con l’estero. Così sceglie la minaccia militare come unica opzione valida e conosciuta per ottenere qualcosa. Anche in passato, dopo l’escalation, i colloqui di Pyongyang con USA, Giappone, Cina e Seul sono ripresi. E qualche aiuto è arrivato...
Qualcuno ha parlato di penisola coreana unita, come prima della Grande Guerra del 1950. Ipotesi credibile?
Assolutamente no. Nessuno vuole una penisola coreana unita. E del resto sarebbe una cosa impossibile da realizzare. Pensate a quanta fatica ha fatto la Germania dell’Est a ricongiungersi con quella dell’Ovest... il Pil di Seul è 50 volte quello di Pyongyang: un divario immenso da colmare che rende difficile un’unificazione economica e politica.
La Corea del Nord ha parlato di un’unificazione di tipo federale, cioè con una sorta di area di libero scambio per le merci e meno limitazioni per la circolazione delle persone. Ma nulla più. Unificare vorrebbe dire anche vedere milioni di nordcoreani fuggire a Seul o a Pechino. Un’ipotesi che non fa piacere alla Cina, ovviamente...
Dice fuggire perché resta il fatto che la Corea del Nord non è il paradiso: la libertà di stampa a che punto è? E che mi dice dei lager nel Nord del Paese?
Diciamo che i diritti umani non sono in cima all’agenda del regime. Tra i media vige ancora la censura, anche se qualche apertura c’è stata negli ultimi mesi con l’accesso a internet (a siti d’informazione cinese o giapponese perlopiù). I lager ci sono, ma le uniche notizie che abbiamo vengono da chi è fuggito da queste vere e proprie città, non mappate, dove si stima vivano almeno 200mila persone in condizioni proibitive e terribili.
Per leggere l'intervista online http://www.gdp.ch/articolo.php?id=4751
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