Quanto impariamo dalla storia e quanto traiamo frutto dalle
esperienze? Poco, a quanto pare. L’uomo, per sua natura, tende a ripetere gli
errori commessi nel passato; non perché non sia consapevole delle sue mancanze,
ma perché, specialmente nel nostro modo di pensare ed agire, lasciamo che siano
le emozioni a prevalere sulla ragione.
E l’emotività, spesso immantinente, dettata dal momento e dai
fatti che ci coinvolgono nella vita quotidiana, è la principale causa dei
nostri ripetuti sbagli. Rifiutiamo di riflettere, di calcolare, di discutere.
Madrid, Londra, Parigi, Bruxelles, Nizza hanno insegnato ben
poco.
A poche ore dai fatti, autoreferenziati esperti di islam e Medio
Oriente (che di islam e di Medio Oriente spesso conoscono solo gli stereotipi),
autocelebrati moralisti e difensori di un cristianesimo a cui loro stessi non
credono, si sono sentiti in dovere di dire la loro su tutto e su tutti,
assolvendo in modo perentorio la nostra società da ogni colpa.
Secondo le teorie di questi gaudenti “esperti” noi siamo le
uniche e sole vittime. “Loro” (gli islamici) sono gli unici e soli colpevoli,
aguzzini, terroristi.
Pochi tra gli “esperti” e i moralisti si sono chiesti se anche
noi abbiamo delle colpe e come si sia giunti a questa situazione. Tutti hanno
trovato lo stesso ed unico capro espiatorio: la matrice islamica che, a seconda
dei periodi e degli umori, può essere talebana (senza sapere che i talebani non
hanno mai compiuto attentati al di fuori dall’Afghanistan e dal Pakistan),
al-Qaeda, Isis, Fratelli Musulmani e chi più ne ha più ne metta.
L’attentatore di Nizza ha, con tutta probabilità, agito da solo.
Il fatto che l’Isis, o chi per essa, abbia esultato e recriminato la paternità
dell’atto, significa solo che l’organizzazione, così come al-Qaeda, si trova in
grosse difficoltà. Quella di Nizza è stata una strage logisticamente non certo
degna di particolari e sofisticati preparativi. Un camion che falcidia all’impazzata
decine di persone lungo un viale, non si può dire sia opera di un fine cervello
terrorista. Nessun controllo, nessuna pianificazione, nessuna bomba; solo un
semplice camion e un autista che preme il piede sull’acceleratore.
Ma Nizza ci ha insegnato, ancora una volta, che la nostra
democrazia, la nostra società, i nostri valori, non possono essere esportati.
Gli attentatori non sono quasi mai persone nate e vissute all’ombra delle
moschee in Siria, Afghanistan, Tunisia, Egitto. In Afghanistan ho conosciuto
taleban molto più aperti e tolleranti di certi nostri defensor fidei; in Libano ho frequentato Hezbollah che in casa,
accanto al Corano, avevano la Bibbia. Coloro che si ergono a shahid sono persone nate e vissute in
Europa, hanno vissuto una vita da laici, frequentato ambienti anche moralmente
discutibili, hanno spacciato. Persone che hanno condiviso proprio quegli stili
di vita che, ad un certo punto, non li hanno più soddisfatti.
E qui dobbiamo chiederci quali valori abbiamo loro offerto in
alternativa alle frivolezze della nostra società. È significativo che gli
attentati in Europa siano sempre stati diretti, non contro chiese o centri
religiosi, ma contro luoghi di divertimento (discoteche, stadi, aeroporti, spettacoli).
Davvero non sappiamo offrire altro a persone che cercano
qualcosa di più profondo?
Significativo è un sondaggio fatto su Facebook dagli
amministratori del mio paese sulla possibile nuova destinazione di un impianto
inizialmente destinato a centro natatorio, ma che ora si vorrebbe tramutare in
qualcosa di meno costoso e più usufruibile. Tra le numerose proposte quella più
gettonata sembra essere la destinazione ad un’area da adibire per le feste o a
centri commerciali, come se di feste e centri commerciali non ce ne fossero già
abbastanza. A quanto pare abbiamo perso anche una delle poche risorse per cui
eravamo apprezzati nel mondo: la fantasia. Eppure, proprio tra gli elettori che
sostenevano la lista che oggi guida il comune, una delle critiche che si faceva
alla passata amministrazione era la scarsa (direi totale) mancanza di
attenzione verso la cultura. Ma, ora che se ne ha l’occasione, quasi nessuno ha
proposto un polo culturale, un luogo dove poter discutere, una nuova
destinazione per l’attuale fatiscente e poco funzionale biblioteca. Sembra
davvero che nel momento in cui si parla di cultura (che non significa ore
passate a studiare sui libri o ad ascoltare noiose conferenze), non ci sia
differenza: da qualunque parte la si guardi, non interessa. Salvo poi
lamentarci con chi i vari governi (nazionali, regionali, comunali) perché non pongono
abbastanza attenzione alla cultura.
Ed è questa mentalità che alimenta l’insoddisfazione da parte di
chi vede che, mentre parte del mondo fatica a trovare stabilità, sicurezza,
dignità, l’altra parte pensa solo a se stessa.
Rifiutare la cultura è rifiutare il dialogo. Questo, in sintesi,
è il messaggio che lanciamo a questi ragazzi che, per noi incomprensibilmente,
si lanciano verso la morte per dare significato alla loro vita.
Loro cercano valori, noi gli proponiamo frivolezze, o, nel
migliore dei casi, epitaffi culturali del tipo “Fate i sermoni nella lingua del
Paese che vi ospita e non in arabo”.
La pazzia si è impossessata di noi. Siamo veramente fuori da
ogni logica.
In pratica stiamo dicendo a queste persone che la loro lingua, preziosa
perché parlata dal loro profeta, è un’accozzaglia di suoni gutturali e aspirati,
una cacofonia inascoltabile e che a noi non fa piacere che venga parlata neppure
tra loro stessi. Cosa diremmo se in Bangladesh obbligassero a celebrare tutte
le messe in bengalese (abolendo quelle in inglese o in italiano) perché le
autorità non capiscono le prediche? Giustamente ci ribelleremmo.
Così, altrettanto giustamente, i musulmani presenti in Europa,
si chiedono per quale motivo dovrebbero pregare in italiano, francese, tedesco,
fiammingo, magari in bergamasco o gaelico.
Abbiamo abolito il latino dalle chiese perché nessuno ne capiva
il significato; nella nostra logica “democratica” vogliamo imporre lingue
altrettanto incomprensibili a chi ripone nella lingua un significato del tutto
particolare.
Non giustifico chi attenta alla vita degli altri per salvare la
sua, ma sono dalla parte di chi, con tutta onestà religiosa, vuole pregare il
suo Dio in santa pace e nel linguaggio a lui più consono.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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