Mentre la
situazione nella centrale di Fukushima peggiora sempre più rischiando di
trasformare il sito in un generatore nucleare a cielo aperto, c’è gente che non
si arrende e continua a mantenere viva la speranza di poter tornare a vivere
nelle aree oggi contaminate. Come il contadino che ha chiesto l’aiuto del
Centro di Volontariato per la Ricostruzione di Minamisoma per ripulire dalle
sterpaglie il campo della sua casa, situata nella Zona ad Esclusione Parziale,
dove è possibile entrare, ma non coltivare e risiedere permanentemente. «Tutti sappiamo che è un lavoro inutile: questa
generazione difficilmente potrà rientrare in possesso delle loro abitazioni»
ci confida un coordinatore del centro, che conclude: «Il nostro è principalmente un aiuto psicologico verso chi non si
rassegna ad aver perso tutto ciò che aveva». Ancora oggi circa
centocinquantamila persone evacuate dalla zona radioattiva vivono nelle
cosiddette case temporanee, alloggi di fortuna ricavati da container dove, in
pochi metri quadrati, risiedono più famiglie. «La temporaneità si protrarrà ancora per anni» spiega un abitante
di uno di questi centri: «I più anziani
si sono rassegnati a morire qui, i più giovani tentano di andarsene in altre
province in cerca di nuove prospettive». Eppure, pur tra mille difficoltà,
l’indomito spirito giapponese continua a prevalere: appositi comitati
organizzano feste, incontri, dibattiti che riescono, almeno per qualche ora, ad
allentare la tensione che, inevitabilmente, si viene a creare tra le varie
famiglie. «La maggior parte della
popolazione viveva in grandi fattorie ed i rapporti erano diluiti dalle distese
di campi e prati; è inevitabile che, quando lo spazio attorno a te si restringe
e sei obbligato a convivere a stretto contatto con altre famiglie, si creino
degli attriti, a volte anche aspri». Percorrendo le anguste vallate che
dalla costa si dirigono verso l’interno del paese, diviene chiaro come la
topografia del terreno, assieme alle correnti atmosferiche, abbiano incanalato
la radioattività che fuoriesce dai reattori danneggiati lungo una lingua che si
protende per una trentina di chilometri verso nordovest. Spesso, quindi, incontriamo centri che hanno
passato indenni la prova del terremoto e dello tsunami, ma che sono stati
investiti dall’ondata invisibile dei radionuclidi. Villaggi perfettamente
intatti, ma desolatamente abbandonati dai loro abitanti. Iitate è divenuto uno
dei paesi simbolo di questo abbandono: i terreni dove pascolavano mucche, la
cui carne era considerata una prelibatezza, oggi ospitano mandrie di ruspe che raspano
la superficie sino a venti centimetri di profondità con l’intento di eliminare
il Cesio 137 rilasciato dal fallout nucleare. Tonnellate di metri cubi di suolo
contaminato sono poi stoccati in sacchi neri numerati singolarmente, in attesa
di trovare una soluzione per purificarlo. Nelle campagne attorno alla città di
Fukushima, le autorità hanno optato per una soluzione differente, come spiega
Sachiko Goto: «il basso livello di
radioattività registrato ha consentito di raschiare “solo” i dieci centimetri
superficiali delle aree antistanti i luoghi pubblici (scuole, ospedali,
ndr). Il suolo è stato poi sotterrato e
ricoperto con terreno non contaminato». Quanto efficace sia questa
soluzione sono in molti a dubitarne: le radici delle piante e lo smottamento
naturale del terreno rischiano di riportare in superficie la parte inquinata.
Sachiko, però, rassicura sulla sicurezza dell’operazione. Lei gestisce un’azienda
famigliare di frutta e le sue pesche, coltivate secondo rigorosi criteri
biologici, sono tra le più apprezzate della zona. L’incidente di Fukushima,
però, ha messo a repentaglio la sua attività così come quella di altri
agricoltori. «Molti hanno registrato un
calo di vendite anche del 40%» lamenta Sachiko, «Noi, avendo optato da sempre per la vendita diretta a privati, abbiamo
subito una contrazione del 20%». Per rassicurare i consumatori, ad un
campione di ogni raccolto viene controllato il Cesio; una prassi laboriosa, ma
che è divenuta comune tra tutte le aziende colpite dalla nube della centrale.
La recente
disposizione della prefettura di Fukushima, di compensare in parte le perdite
dovute alla nube radioattiva, ha permesso ad alcune attività di risollevarsi,
anche se per molte è già troppo tardi. «Alcuni
se ne sono andati, altri hanno cercato un altro lavoro» afferma Yasuhiko
Niida, presidente della Kinpou, dal 1711 una delle più antiche aziende
produttrici di sake del Giappone.
Nonostante
la società di Niida si trovi nella provincia di Koriyama, ad una sessantina di
chilometri dalla centrale nucleare di Fukushima, i venti che soffiano
costantemente dal mare hanno trasportato fin qui notevoli quantità di isotopi
radioattivi. Il 2011 era un anno importante per la Kinpou: «Per commemorare i trecento anni di vita avevamo organizzato una fitta
serie di eventi. Doveva essere un trampolino di lancio per un nuovo sviluppo,
invece l’incidente di Fukushima ci ha messi in ginocchio». La tenacia di
Yasuhiko, assieme al senso del dovere verso i suoi antenati, lo hanno convinto
ad affrontare le difficoltà. E le ha sconfitte. Non solo è riuscito a mantenere
in vita l’impresa famigliare, ma non ha licenziato nessuno dei suoi venti dipendenti.
«Ciò che ci ha permesso di sopravvivere è
stata la qualità. Il nostro sake è uno dei pochi in Giappone ad essere prodotto
al 100% con riso e, per di più, biologico». I premi vinti nei concorsi
nazionali testimoniano le affermazioni di Niida, che ha un ultimo sogno da
realizzare: «Convincere, entro il 2025,
quando compirò sessant’anni, tutti i contadini della zona a coltivare riso
biologico».
Meno
ambizioso, ma altrettanto edificante, è il progetto di Shigeki Oota, un giovane
agricoltore che, abbandonata una promettente carriera a Tokyo, si è trasferito
nello sperduto villaggio di Hippo, nella prefettura di Miyagi. Nonostante non
siamo nella provincia di Fukushima, gli ioni radioattivi hanno raggiunto anche
questa vallata abitata da piccoli contadini che coltivano riso lungo le irte
pendici dei monti. Un lavoro duro, fatto per lo più a mano, senza l’ausilio di macchinari, che hanno temprato il carattere
degli abitanti. E’ anche per questo che le divergenze che hanno diviso la
comunità di Hippo, si sono trasformate in aperti conflitti. «Eravamo circa tremila persone, molte delle
quali arrivate qui da pochi anni, attirate dalla tranquillità e dalla bellezza
della zona. Ora ne sono rimaste settecento» ci spiega Miko Iwasa, moglie di
Shigeki e figlia di un noto regista di documentari a sfondo sociale. L’arrivo
della nube radioattiva ha portato con sé anche i dissapori tra una generazione
di trentenni-quarantenni antinuclearisti ed una più anziana, composta
essenzialmente da gente nata nel posto, che voleva evitare di sollevare il
problema radioattività. «Avevano timore
che ammettere di avere un problema nucleare, avrebbe compromesso la loro
attività allontanando i consumatori» spiega Miko. I contrasti si sono
aggravati a tal punto che hanno indotto molti dei nuovi arrivati ad andarsene.
Ma gli Oota, assieme ai loro quattro figli, hanno deciso di restare continuando
a produrre miso, la salsa agrodolce
utilizzata per insaporire la verdura. Ed alla fine la loro tenacia è stata
premiata: «Ci si è semplicemente resi
conto che un monitoraggio continuo della radioattività non significa
automaticamente che i nostri prodotti siano contaminati. E’ un’assicurazione
che garantiamo ai consumatori ed a noi stessi» conclude Shigeki.
Cambiamo
direzione e ci dirigiamo verso la costa restando nella prefettura di Miyagi
fino a raggiungere Ishinomaki, il grosso centro peschereccio completamente distrutto
dallo tsunami del 2011. Lo sversamento in mare di acqua radioattiva ha indotto
i compratori di Tokyo a cambiare fornitori dirigendosi ad Hokkaido e mettendo
in ginocchio l’intera industria marinara del porto. «Per due anni e mezzo i governi che si sono succeduti a Tokyo hanno
rimandato ogni decisione riguardo la soluzione del problema di Fukushima. Siamo
stanchi» dice un pescatore. Proprio questo immobilismo, che il governo di
Shinzo Abe ha imputato alla divisione delle camere, una a maggioranza
democratica e l’altra a maggioranza liberaldemocratica, ha indotto, nelle
elezioni di luglio, gli elettori a votare in blocco per il Partito
Liberaldemocratico, favorevole alla scelta energetica nucleare. Ora Shinzo Abe
non ha più nessuna scusa per rimandare le sue decisioni.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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