Può il solo
denaro trasformarsi in un indice in grado di valutare lo sviluppo umano
raggiunto da una nazione o da un popolo? San Francesco (ma non solo lui) lo
escludeva in modo assoluto. Per secoli, invece, è stata proprio la quantità di
liquidità a disposizione del singolo o della comunità a gerarchizzare le
classifiche di benessere economico e sociale stilate dagli economisti. Ancora
oggi la ricchezza di una nazione la si valuta in riferimento al PIL (Prodotto
Interno Lordo), sebbene questo parametro negli ultimi decenni sia stato rivisto
e ridimensionato. La Rivoluzione Russa, con la sua forte impronta ideologica a
sfondo sociale, fu la prima grande ondata di pensiero che cominciò a
stravolgere in modo concreto questo modo di intendere l’economia: non più una
società basata sul profitto e sui doveri, ma una comunità in cui il singolo
cittadino aveva anche dei diritti ed in cui il talento e la conoscenza
divenivano valori primari. Sull’ondata di questa nuova visione, nel dopoguerra
nacque una nuova classe di economisti secondo cui la qualità della vita, intesa
come accessibilità ai servizi primari di sviluppo culturale e umano, avrebbe
dovuto prevalere sull’aumento del reddito. Uno di questi fu Amartya Sen,
l’indiano Premio Nobel per l’economia nel 1998. Ma l’idea di una rivoluzione
della classifica della ricchezza delle nazioni sulla base dello sviluppo umano
rimase a lungo solo nella mente di alcuni illuminati studiosi, fino a quando,
nel 1972, il monarca di un minuscolo e sconosciuto regno incastonato tra le
cime dell’Himalaya, decise di inaugurare una nuova politica economica ed al
Prodotto Interno Lordo subentrò la Felicità Interna Lorda. Quel re “illuminato”
era Jigme Singye Wangchuck ed il paese che per primo al mondo si “ribellò” alla
visione unicamente materialista del benessere era il Bhutan. Oggi, a
quarant’anni di distanza, la scelta controcorrente di Jigme Wangchuck non sembra
più così utopistica; molti istituti di ricerca economica hanno inserito voci
difficilmente quantificabili materialmente tra il pacchetto che indica lo
sviluppo di un paese. Tra i concetti che compongono il FIL rientrano aspetti
psicologici, religiosi, sanitari, educativi, culturali, la possibilità di
spendere il proprio tempo libero, la partecipazione alla vita sociale e
politica del paese dagli ambiti più ristretti a quelli nazionali e, non ultimo,
la sensibilità ecologica. Chi visita il Bhutan riesce sicuramente a farsi
un’idea di cosa significhi basare la propria filosofia economica e politica sul
concetto di Felicità Interna Lorda. Il piccolo regno, grande quanto la
Svizzera, è un’oasi di pace e di serenità, se paragonato alle regioni
turbolente dell’India e della Cina con cui confina. Sebbene le aree interne
siano ancora difficilmente accessibili, la rete stradale permette il rapido
movimento della popolazione e la pulizia che si incontra nei villaggi contrasta
con l’abbandono di molte cittadine indiane e cinesi. Un ruolo importantissimo,
se non basilare nella struttura sociale del Bhutan, viene data alla scuola
Drukpa del buddismo, che, assieme alla lingua dzongkha è la base su cui si costruisce
la cultura di stato. La storica ostilità che contrapponeva il buddismo
bhutanese a quello tibetano, ha portato, nel passato, a conflitti militari tra
i due stati. Oggi questa animosità si è affievolita, ribaltandosi, all’interno
della nazione, sulla numerosa comunità Lotshampa, popolazione di origine
nepalese e religione induista, che dalla fine del XIX secolo si stabilì nella
parte meridionale del regno. I Lotshampa rappresentano il 40% dell’intera
popolazione del Bhutan ed i Bhote, l’etnia principale di fede buddista e lingua
dzongha, intimoriti dal repentino aumento demografico dei nepalesi, li hanno
discriminati per anni cercando di sradicare la loro cultura emarginandoli
socialmente e politicamente. Si capisce quindi il paradosso del Bhutan: un
paese che fa della Felicità Interna Lorda il proprio motto è anche quello che
ha la più alta percentuale di rifugiati politici al di fuori dei suoi confini:
circa 100.000 su 800.000 abitanti.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
Nessun commento:
Posta un commento