Aung San
Suu Kyi è atterrata in Svizzera ieri (13 giugno) inaugurando un tour europeo
che la porterà anche in Norvegia, Gran Bretagna, Irlanda e Francia. A parte la
recente visita in Thailandia, è la prima volta in 24 anni che la leader
dell’opposizione birmana può uscire dal paese senza che i militari le possano
impedire di rientrare. Dopo la Svizzera, dove tra oggi (14 giugno) e domani parteciperà
alla conferenza dell’ILO (International Labour Organization) e visiterà il
Parlamento elvetico a Berna, Suu Kyi andrà ad Oslo, luogo in cui si consumerà
la parte più rilevante del viaggio. Sarà nella sala comunale della capitale
scandinava che il 16 giugno le verrà consegnato, a 21 anni di distanza, il
premio Nobel assegnatole nel 1991. Da Oslo, Aung San Suu Kyi volerà a Bergen,
sede dell’associazione Rafto, l’organizzazione per i diritti umani che nel 1990
le aveva conferito l’omonimo premio. La successiva tappa britannica alternerà
gli incontri politici presso le Camere del parlamento a momenti di
ricongiungimento famigliare. I figli Alexander e Kim festeggeranno con la madre
il suo sessantasettesimo compleanno il 19 giugno ad Oxford, città in cui ha
vissuto a lungo con il marito, il tibetologo Michael Aris, morto nel 1999. A
Dublino Aung San Suu Kyi riceverà da Bono il premio Amnesty International, per
poi affrontare l’ultima tappa del viaggio: la Francia. Qui la premio Nobel per
la pace incontrerà il neopresidente francese François Hollande. L’intenso
programma è finalizzato in principal modo a rinsaldare i legami con la comunità
birmana in Europa, ma anche a stringere alleanze politiche al massimo livello. Suu
Kyi, infatti, ha bisogno di appoggi internazionali in questa delicata fase di
transizione per sostenere il suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia,
quando questo, partecipando all’attività politica della nazione, dovrà fare
scelte impopolari. Dopo aver chiesto la fine dell’embargo economico e aver
invitato gli imprenditori ad investire in Myanmar, ha avvertito le democrazie
occidentali che il processo di democratizzazione in atto nel suo paese dal
2010, potrebbe essere deragliato dagli elementi più conservatori dell’apparato
militare. Al tempo stesso non deve frustrare le ambizioni dei generali birmani,
di cui ha bisogno per non lasciare che i violenti conflitti etnici dividano la
nazione. L’indebolimento delle Forze Armate birmane rischia, infatti, di
catalizzare le istanze di secessione di molte delle 135 etnie che compongono il
mosaico demografico del Myanmar. Ultime, in ordine di tempo, sono le
manifestazioni di protesta delle comunità musulmane contro i buddisti, che
hanno costretto il governo di Thein Sein a decretare lo stato di emergenza
nello stato del Rakhine, al confine con il Bangladesh. Se Aung San Suu Kyi sarà
chiamata a pronunciarsi su queste rivolte, dovrà sfoderare tutta la sua
diplomazia per non urtare la suscettibilità dei buddisti birmani, da una parte,
o delle organizzazioni dei diritti umani, dall’altra.
Copyright ©Piergiorgio Pescali
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