Fukushima: si contano i danni (marzo 2011)

Venerdì, 11 marzo 2011: si pensa già alla serata che si passerà con gli amici, oppure al week end in montagna o ancora al relax di un ofuro, un bagno caldo che ogni giapponese ama fare prima di coricarsi. Ed invece ecco che la terra comincia a tremare sotto i piedi, i libri sugli scaffali cadono sui pavimenti, le pareti dei muri si sgretolano. Poi un rumore, prima sordo, lontano, come uno scalpiccio di piedi. Il rumore si fa più vicino, più distinto. E’ l’acqua del mare che ingoia tutto ciò che trova, invade le strade, risale le colline sfidando la forza di gravità, allaga i campi. Ed è la catastrofe. Le prefetture di Miyagi, Fukushima e di Iwate, a nord di Tokyo, sono le più colpite: un totale di duemila morti, ma forse il conto supererà i diecimila, 50.000 edifici danneggiati, 450.000 senzatetto, un danno stimato di 180 miliardi di dollari, pari al 3% del PIL annuale del Giappone, terza economia mondiale. Il terremoto di Sendai, città di un milione di abitanti situata a 330 km a nord di Tokyo è il più devastante che il Giappone moderno abbia mai conosciuto. «E’ come attraversare un paese in guerra» ricorda Kanae Hosokawa, originaria di Sendai che subito dopo il terremoto ha percorso l’intero tragitto da Tokyo in auto per trovare i suoi parenti. «Ho impiegato dodici ore, rispetto alle solite tre ore che impiegavo con lo Shinkansen, il treno superveloce.» Sendai, la città che nel 2002 aveva ospitato la nazionale di calcio italiana in occasione dei campionati mondiali, la città da cui nel XVII secolo era partita un’ambascia diretta alla Santa Sede, è ora devastata. Interi quartieri sono stati cancellati e al loro posto ora c’è uno strato di fango e detriti. Ancora oggi, ad una settimana di distanza «La popolazione sta cercando di scrollarsi di dosso la paura e lo shock. Le autorità hanno chiesto ai commercianti che hanno la possibilità di tenere aperti i loro negozi, ma sono pochi coloro che lo fanno. Tutto ciò che poteva essere utile è stato acquistato.» racconta Haruka Arai, giornalista freelance che lavora per il Kahoku Shimpo, il giornale locale cittadino. I soccorsi sono intervenuti, nel limite del possibile, tempestivamente, ma muoversi in un territorio dove autostrade, ferrovie e aeroporti sono stati distrutti, non è semplice. E come se non bastasse, ecco il dramma della centrale nucleare di Fukushima, con i suoi reattori che rischiano di surriscaldarsi e perforare il pavimento irradiando radiazioni nell’ambiente esterno. Nonostante il Giappone sia l’unico paese al mondo ad aver conosciuto direttamente la piaga nucleare, il 70% dell’energia fagocitata dalla sua insaziabile economia, proviene dalla fissione atomica. Paradossalmente la popolazione non ha mai dato credito ai movimenti antinucleari, preferendo sganciarsi dalla dipendenza petrolifera con la soluzione apparentemente più semplice. Ma dopo la paura e il clamore suscitato dagli incidenti, Sawa Tihiro, scienziato nucleare membro del Nuclear Information Center, si aspetta che «nei prossimi anni l’opinione pubblica prenda coscienza del pericolo connesso con il nucleare e dei costi elevati che esso comporta.»

La contaminazione già avvenuta di alcuni soldati statunitensi a bordo della portaerei Ronald Reagan, dovrebbe convincere il governo giapponese a rivedere i suoi piani energetici. E’ comunque anche vero che una combinazione di eventi naturali così catastrofici (tsunami e terremoto di scala Richter 8,9), non avviene spesso e che la centrale di Fukushima, dopotutto, ha retto bene il devastante impatto. Ma, come afferma Sawa Tihiro, «E’ vero, i piani di sicurezza previsti non erano pronti a fronteggiare un simile sviluppo di energia distruttiva, ma questo dimostra, una volta ancora, che le centrali nucleari, anche se costruite e gestite con criteri di massima sicurezza, presentano sempre delle falle. Qualunque grande impianto, specie se complesso, presenta delle incognite e degli imprevisti che possono tramutarsi in tragedie.»

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